L’impressione suscitata dalNabuccoe daiLombardi alla prima crociata, rappresentati con successo in tutti i teatri d’Italia, spinse la presidenza del Teatro La Fenice di Venezia ad assicurarsi un’opera nuova del compositore che appariva, all’epoca, come l’astro nascente nel mondo del melodramma. Un contratto con Verdi fu sottoscritto nel giugno del 1843; per l’occasione, la presidenza della Fenice concesse condizioni di eccezionale favore al giovane compositore: oltre ad accordargli un compenso insolitamente alto, gli lasciò la facoltà di scegliere i cantanti di suo gradimento fra quelli scritturati dal teatro per la stagione che stava per iniziare. Dopo aver scartato numerosi soggetti, Verdi si entusiasmò perHernani, il dramma di Victor Hugo rappresentato a Parigi nel 1830, la cui prefazione era divenuta il manifesto del romanticismo teatrale e letterario francese. Dopo le opere ricche di grandi scene corali che gli avevano assicurato i primi successi, Verdi intendeva cambiare genere e incentrare il prossimo dramma sui singoli personaggi: il lavoro di Hugo, perciò, era quel che ci voleva. La fosca esagitazione del dramma, l’enfatizzazione dei caratteri, l’astrazione e la convenzionalità melodrammatica diHernani, anziché costituire difetti rappresentavano un’attrattiva agli occhi del compositore, alla ricerca di personaggi occupati interamente da passioni violente, dalle quali potevano scaturire efficaci contrasti. Poiché il dramma mette in scena una congiura contro il re, c’era l’incognita della censura, che presumibilmente avrebbe trovato qualcosa da ridire (proprio per problemi di censura Romani e Bellini, tredici anni prima, avevano abbandonato lo stesso soggetto); Verdi, tuttavia, convinse ugualmente il poeta ad accettare l’incarico di stendere il libretto. Questi era uno sconosciuto versificatore locale, procurato dalla presidenza della Fenice, di nome Francesco Maria Piave. Fu subito chiara la natura della collaborazione: una sorta di dittatura del musicista, tale da ridurre il poeta a un mero facitore di versi; nell’elaborazione del libretto Verdi intervenne di frequente e su questioni importanti, che andavano dall’orditura drammatica alla distribuzione dei ruoli. Insistette, ad esempio, perché la parte di Ernani non fosse affidata a un contralto in abiti maschili – come avrebbe voluto il progetto originario approvato dal teatro – bensì a un tenore; insistette anche (nonostante le resistenze di Piave e della prima donna) per terminare l’opera con un terzetto, nel quale l’azione proseguisse sino alla fine, anziché col tradizionale rondò della protagonista femminile.
I principali interpreti della prima rappresentazione furono Carlo Guasco (Ernani), Antonio Superchi (Don Carlo), Antonio Selva (Silva), Sofia Loewe (Elvira). I cantanti giunsero affaticati alla prima serata, tanto che l’opera fu tiepidamente accolta; ma alle repliche il successo andò in breve tempo crescendo. L’opera divenne subito popolarissima e fu rappresentata (a volte sotto altri titoli, comeIl proscritto,Elvira d’Aragona,Il corsaro di Venezia) innumerevoli volte in tutti i teatri italiani.Ernanicostituisce anche il primo successo internazionale di Verdi.
Atto primo. ‘Il bandito’. Spagna, 1519. Ernani, sotto le cui spoglie si cela Don Giovanni d’Aragona, è a capo d’un gruppo di banditi datisi alla macchia; è ansioso di sollevare la rivolta contro il re, Don Carlo, per vendicare l’uccisione del padre. I suoi fedeli gli assicurano il loro aiuto. Si reca al castello di Don Ruy Gomez De Silva per incontrarne la nipote Elvira, della quale è innamorato (“Come rugiada al cespite”); l’amore di Ernani è ricambiato, ma la fanciulla, che deplora la propria sorte (“Ernani,... Ernani, involami”), è promessa al vecchio zio. Al castello dei Silva si trova già Don Carlo, in incognito, anch’egli innamorato di Elvira. Quest’ultima riconosce in lui il re di Spagna, ma respinge le sue profferte (“Da quel dì che t’ho veduta”); di fronte all’insistenza di Don Carlo per condurla con sé, la fanciulla gli strappa dalla cintola il pugnale, pronta a difendere il suo onore. Da un uscio segreto compare Ernani, e s’avanza per proteggere Elvira; il re riconosce il bandito e lo invita a fuggire. Entra all’improvviso Silva, sdegnato per l’attentato al suo onore (“Infelice... e tu credevi”): ma riconosce il re e gli rende omaggio. Generosamente, Don Carlo consente a Ernani di allontanarsi.
Atto secondo. ‘L’ospite’. La rivolta capeggiata da Ernani è fallita: il bandito, travestito da pellegrino, chiede ospitalità presso il castello di Silva. Questi lo accoglie e gli comunica che sta per sposare Elvira; Ernani allora, sconvolto, svela la sua identità e offre al rivale, come dono nuziale, la sua testa (“Oro, quant’oro ogn’avido”). Al castello giunge intanto Don Carlo, reclamando il bandito; ma Silva, legato dai doveri dell’ospitalità, fa nascondere Ernani e si rifiuta di consegnarlo. Il re fa perlustrare, invano, il castello (“Lo vedremo, veglio audace”); costringe poi Elvira a seguirlo. Ernani, a questo punto, rivela a Silva l’amore del re per la fanciullla, esortandolo a vendicare l’offesa recata al suo onore. I due stringono un patto; Ernani consegna un corno da caccia a Silva: quando questi vorrà la morte del bandito, non dovrà far altro che suonare tre volte nel corno, ed Ernani si toglierà la vita.
Atto terzo. ‘La clemenza’. Ad Aquisgrana, nei sotterranei del sepolcro che custodisce le spoglie di Carlo Magno, si riuniscono i congiurati, capeggiati da Ernani. Li ha preceduti Don Carlo, sceso anch’egli di nascosto nel sepolcro (“Ah, de’ verd’anni miei”). Appreso che il re aspira al trono imperiale, i congiurati ne decretano la morte; si trae a sorte colui che eseguirà la sentenza, ed esce il nome di Ernani. Tutti prestano di nuovo il loro giuramento (“Si ridesti il leon di Castiglia”), quando tre colpi di cannone annunciano che Don Carlo è stato eletto imperatore. Questi, col suo seguito, si mostra ai ribelli e ne decreta la morte. Ma cede, poi, alle insistenze di Elvira: fa dono della vita a Ernani e gli concede in sposa la fanciulla, mentre Silva medita propositi di vendetta.
Atto quarto. ‘La maschera’. Nel palazzo di Don Giovanni d’Aragona, a Saragozza, ci si prepara alla festa nuziale. Tra i presenti viene notato un uomo in nero, mascherato. Mentre Ernani ed Elvira si abbandonano alla gioia, s’odono in lontananza tre suoni di corno: è Silva, che ricorda a Ernani il patto fatale. Il giovane tenta dapprima di commuovere Silva (“Solingo, errante, misero”); ma poi, tenendo fede alla parola data, si toglie la vita. Sul suo corpo esanime si accascia Elvira.
Nella produzione giovanile di Verdi,Ernanirappresenta un punto di svolta. Prima d’allora il compositore aveva scritto solo per la Scala, un teatro ampio nel quale facevano effetto le grandi scene corali; gli spazi più ristretti della Fenice favoriscono la concentrazione del dramma sui conflitti personali: l’opera è dunque imperniata su un’azione complessa, accuratamente costruita per fornire occasioni di scontro tra i personaggi. In ciò,Ernaniè il tipo perfetto del melodramma romantico, che mette in scena passioni violente, contrasti netti e caratteri schematici, dalle scarse sfumature psicologiche. Nei luoghi in cui Verdi attinge i risultati drammatici più convincenti, tuttavia, i personaggi si sottraggono a questo rigido schematismo e assumono una dimensione umana: nel terzetto finale, che segna il passaggio repentino dalla felicità alla catastrofe, l’espressività, la concisione, il fluire continuo dalle sezioni liriche alla recitazione drammatica, segnano l’aderenza ai mutamenti psicologici dei personaggi e alle passioni in gioco, rivelando nell’autore il sicuro istinto teatrale. Nuovo è anche l’intento drammaturgico di andare oltre l’accurata costruzione del singolo ‘numero’: inErnaniil controllo è esercitato sull’intero atto (esemplari sono l’unitarietà e la coerenza drammatica della terza parte). A ciò si unisce una particolare felicità creativa, che si traduce in una profusione di melodie accattivanti e facilmente cantabili, cui si deve l’immediata popolarità dell’opera. Una presa istintiva esercitano anche pagine virulente – come la canzone intonata dal coro dei banditi (“Evviva... beviam”) all’inizio dell’opera – nelle quali si dispiega un vigore primitivo ed elementare. Trascinante, nel suo effetto, è il coro “Si ridesti il leon di Castiglia”, nel quale Verdi tocca corde sensibili in anni risorgimentali: intorno al 1848 le parole del coro si prestarono a un’interpretazione patriottica e infiammarono d’entusiasmo più d’una platea italiana.