Negli anni europei della carriera di Donizetti (1838-46) Parigi era una città cosmopolita, che ospitava artisti come Chopin, Liszt, Mendelssohn, Meyerbeer, Cherubini, Rossini, Bellini, Heine, Wagner. Nei mesi precedenti il debutto de La Favorite, dopo il Roberto Devereux e l’Elisir d’amore rappresentati al Théâtre Italien, la nuova versione di Lucia di Lammermoor (in francese) al Théâtre de la Renaissance, La Fille du régiment all’Opéra-Comique e Les Martyrs all’Opéra, Berlioz poteva a buon diritto lamentarsi del fatto che il compositore bergamasco avesse colonizzato i teatri francesi. Attivo, come sempre, su più fronti, Donizetti nell’autunno-inverno 1839-40 preparava il Duc d’Albe per l’Opéra (poi sospeso), La Fille, Les Martyrs, e una nuova opera commissionatagli dal Théâtre de la Renaissance: L’Ange de Nisida. Fallito l’impresario, «ciuccio assaje», che «jettava denare da tutte le parti» (come scrisse il compositore), L’Ange fu riciclato di gran fretta, poiché Léon Pillet, impresario dell’Opéra, chiedeva un nuovo lavoro per sostituire il Duc d’Albe. Donizetti, alle prese con la composizione di un’opera per il Teatro Apollo di Roma (Adelia), accettò di trasformare la partitura dell’Ange in quella della Favorite.
Atto primo. Nel regno di Castiglia, 1340. La sinfonia si apre con una breve introduzione per soli archi, che entrano a voci indipendenti, dai bassi ai violini, imitandosi in contrappunto; l’effetto austero e meditativo preannuncia il preludio dell’Aida. Il tema misterioso è poi svolto e amplificato dall’orchestra piena: fin qui, atmosfera religiosa e severa. Il primo tema, nervoso e agitato, ha una funzione narrativa simile, all’interno della sinfonia, a quello che sarà il primo tema nella sinfonia della Forza del destino; è ripreso in fugato con vari impasti strumentali e si oppone a un secondo tema, una grande frase ascendente e discendente, cantabile, amplificata a piena orchestra nel finale del brano. Nel convento di San Giacomo di Compostela, i religiosi attraversano la scena. Il loro coro è uno dei più semplici (una frase ascendente e poi discendente, un’apertura in crescendo seguita da un lento diminuendo, come in un unico respiro) ma nello stesso tempo dei più raffinati cori di introduzione donizettiani, denso di piccoli gesti strumentali in semplicissimo contrappunto al canto. Il padre superiore Balthazar sta per seguire i monaci ma scorge Fernand, il novizio destinato a succedergli, assorto nei suoi pensieri e gliene domanda la ragione. Fernand gli confessa di essere in preda a un amore terreno, per una donna di cui non conosce il nome né la condizione (“Un ange, une femme inconnue” / “Una vergine, un angiol di Dio” nella versione italiana). Fernand intende abbandonare il convento, nonostante il suo padre spirituale gli ricordi le insidie della vita mondana. Sulla spiaggia dell’isola di Léon, Inez e altre fanciulle attendono il battello che conduce Fernand dalla dama sconosciuta (“Rayons dorés, tiède zéphyre” / “Bei raggi lucenti”): all’atmosfera solenne e raccolta del quadro del convento, si contrappongono la leggerezza del canto femminile di Inez e del coro, e un’orchestrazione aerea, vaporosa, in punta di piedi come nelle musiche di balletto. Fernand invano chiede a Léonor di rivelargli il nome e il segreto che la circonda; la donna gli confessa di amarlo ma di non poter diventare sua sposa. Inez annuncia l’arrivo del re: Fernand deve partire immediatamente; per ricompensarlo del suo amore, Léonor gli consegna una lettera di raccomandazione, con la quale egli potrà fare una brillante carriera militare. Ingenuo e idealista, Fernand crede che Léonor sia una dama di alto rango e che il re Alphonse XI, benché sposato, sia un pretendente alla sua mano.
Atto secondo. Alphonse si aggira, innamorato e sognante, nei giardini d’Alcazar e commenta con Don Gaspar la vittoria sugli infedeli: nella battaglia si è distinto il giovane Fernand, che il sovrano vuole premiare. Nonostante sia in attesa di un messaggero del papa, Alphonse intende prima ricevere la sua amante Léonor, con la quale ha da tempo una relazione avversata dalla corte e dalla curia romana (“Léonor, viens, j’abandonne” / “Vien, Leonora, a’ piedi tuoi”). Léonor si ribella al re, delusa e stanca della sua condizione di amante. Quando il re le promette di ripudiare la regina, senza ascoltare le proteste del papa, Léonor lo mette in guardia dal compiere azioni sconsiderate. Durante la festa che Alphonse ha organizzato per Léonor, il re intercetta un biglietto che Fernand ha scritto alla donna, la quale confessa così il suo nuovo amore per un giovane, senza rivelarne il nome. Irrompe Balthazar, messo del papa, a guastare la festa: minaccia l’anatema sul sovrano, reo di adulterio, maledice la donna dello scandalo, poi mostra una bolla papale contenente la scomunica per Alphonse.
Atto terzo. Fernand dichiara al re il suo amore per Léonor; con freddo calcolo, Alphonse decide all’istante di far sposare i due, per vendicarsi del tradimento di Léonor e per rappacificarsi con la Chiesa. L’aria di Alphonse (“Pour tant d’amour ne soyez pas ingrate” / “A tanto amor, Leonora, il tuo risponda”) è un esempio di come la musica e il canto possano avere due significati, uno esplicito e letterale, l’altro nascosto e sottilmente ironico. Léonor rimane interdetta, ma risolve di confessare subito a Fernand il suo passato, rinunciando alla felicità (“O mon Fernand, tous les biens de la terre”/“Oh, mio Fernando, della terra il trono”): per questo manda Inez in cerca del giovane. Don Gaspar fa arrestare Inez, il re nomina Fernand marchese, gli conferisce un ordine cavalleresco e il matrimonio viene celebrato. Fernand è felice, ma viene subito deriso dai cortigiani, che rifiutano di stringergli la mano. All’arrivo di Balthazar, il giovane capisce la verità: ha sposato «la maîtresse du roi». Indignato contro Alphonse e Léonor, Fernand getta a terra l’insegna cavalleresca, spezza la spada ai piedi del re (in preda al rimorso) ed esce seguito da Balthazar. Il declamato fiero e disperato di Fernand, nel tempo di mezzo inserito fra il tempo lento e la stretta del finale, ha la stessa funzione della maledizione di Edgardo nel finale secondo di Lucia di Lammermoor, e svela un altro aspetto del carattere del giovane, fino a quel momento sognante e idealista tenore romantico; grazie al primo interprete, Gilbert Duprez, questo divenne uno dei momenti più celebri dell’opera.
Atto quarto. Nel convento di San Giacomo. I monaci stanno scavando le loro tombe, e Balthazar esorta i pellegrini a pregare. Fernand è in procinto di prendere i voti, ma il suo pensiero è sempre rivolto alla «maîtresse du roi» (“Ange si pur, que dans un songe” / “Spirto gentil ne’ sogni miei”). Léonor si avanza, sotto gli abiti di un novizio: spossata dal dolore, in fin di vita, intende chiedere perdono a Fernand, del quale ascolta la voce nella preghiera proveniente dalla cappella: si sta svolgendo la cerimonia di vestizione del giovane. Egli esce, riconosce Léonor ed è sconvolto. Léonor si dichiara innocente e implora il perdono dell’amato, che, riconquistato dalla passione, le propone di fuggire insieme. Ma Léonor muore, benedicendo Fernand.
La favorite è un centone: gran parte della musica è quella dell’Ange de Nisida, alcuni spunti derivano da Pia de Tolomei e da L’assedio di Calais, la romanza di Fernand “Ange si pur” (“Spirto gentil”) è innestata dal Duc d’Aube. Alcuni numeri dell’Ange, a loro volta, erano stati cavati dall’incompiuta Adelaide, opera semiseria basata sul dramma di Baculard d’Arnaud Les Amours malheureux, ou Le comte de Comminge (Parigi, 1790). Anche la scena finale dell’Ange si ispirava al dramma di Arnaud, presentando analogie con il libretto dell’Adelaide e Comingio che Gaetano Rossi scrisse per Giovanni Pacini (Milano 1818). Il libretto in tre atti dell’Ange, di Alphonse Royer e Gustave Vaëz, venne ampliato in quattro atti e adattato alle attese del pubblico dell’Opéra. La vicenda mantenne un impianto drammaturgico abbastanza simile, soprattutto nella seconda parte, salvo alcuni importanti cambiamenti nell’ambientazione e nei ruoli vocali (nell’Ange, Don Gaspar è un basso buffo e la protagonista un soprano di coloratura improntato all’esempio della Lucie francese). Come grand-opéra, La favorite risulta abbastanza atipica: c’è l’ampio balletto, nell’atto terzo, nel quale all’Opéra brillava Carlotta Grisi, futura interprete di Giselle; ma per il resto il coro ha solamente una funzione ornamentale e suggerisce l’opposizione di ambienti, quello austero del convento in cui si apre e si chiude l’opera e quello dai toni sgargianti della corte di Castiglia. L’elemento storico-politico è trascurato, a parte le battute che si scambiano Balthazar e Alphonse, nel momento in cui le ragioni sentimentali del sovrano cozzano contro la ragion di stato e il volere della Chiesa romana: l’episodio prefigura alla lontana lo scontro fra Filippo II e il grande Inquisitore nel Don Carlos verdiano. Del grand-opéra è mantenuta la libertà formale (i numeri non seguono sempre gli schemi pluripartiti dell’opera italiana, spesso si articolano più agilmente), ma la vicenda, nel complesso, è a carattere privato: un dramma intimo, di cui il protagonista è Fernand, che incarna gli ideali dell’amor cortese e rimane vittima del proprio candore di novizio inesperto del mondo. L’opera narra proprio del suo viaggio ‘di conoscenza’: Fernand si allontana dal convento, si scontra con la società, ritorna al convento nell’ultimo atto, perseguitato dal fantasma del suo amore infelice. Il personaggio di Léonor è uno dei primi grandi ruoli ottocenteschi per mezzosoprano; concepita per Teresa Stolz, non presenta caratteri di agilità brillante (a parte la cabaletta della sua aria del terzo atto, della quale la versione originale presenta una cadenza completa omessa nella versione italiana), piuttosto si abbandona a melodie di ampio respiro, soffuse di malinconia, e a frasi veementi e appassionate: sul suo esempio saranno scritte Eboli e Amneris.
Rappresentata alla Scala nel 1843, dopo un allestimento a Padova dell’anno precedente, la Favorite fu adattata per i teatri italiani da Calisto Bassi e subì vari mutamenti di titolo, per motivi di censura (ad esempio diventò Elda, Daila o Riccardo e Matilde). Una nuova traduzione di Francesco Jannetti, del 1860, risulta alquanto distante dall’originale. Ad esempio Balthazar-Baldassarre, che nel libretto francese si rivolge a Fernand appellandolo «Mon fils», cioè «figliolo», e nell’ultimo atto lo chiama «mon frère» (perché Fernand ha preso i voti), nella versione italiana diventa proprio il padre di Fernando; non solo: ha anche una figlia, la quale è nientemeno che la moglie tradita di Alfonso. La regina non compare in scena, però è a lei che i monaci scavano la fossa all’inizio dell’ultimo atto, poiché è morta, «vittima infelice» di Alfonso! È per l’onore macchiato della figlia che Baldassarre protesta, inveendo contro il re nel finale secondo: il conflitto tra il volere della Chiesa e l’arbitrio di Alphonse viene ridotto a un più ‘italiano’ scontro di famiglia, fra suocero inviperito e genero fedifrago. Se alla fine dell’Ottocento La favorite scomparve a poco a poco dalle scene francesi, in Italia rimase un’opera di repertorio, grazie anche a una felice tradizione di interpreti femminili quali Ebe Stignani, Fedora Barbieri, Giulietta Simionato, Fiorenza Cossotto. Nel settembre 1991, due allestimenti hanno riproposto la trascurata versione francese: a Bergamo (direttore Donato Renzetti) e a Parigi (direttore Arturo Tamayo).