Messaggi : 216 Data d'iscrizione : 15.01.11 Età : 30
Titolo: Mario del Monaco Lun Gen 31, 2011 11:15 pm
Nacque da distinta famiglia, padre napoletano e madre fiorentina. Dopo aver studiato violino inizialmente come autodidatta, si rese conto che la sua reale passione era il canto. Il maestro Raffaelli riconobbe il talento del giovane e lo aiutò negli inizi. Frequentò il Liceo Musicale di Pesaro dove studiò con il maestro Arturo Melocchi. Successivamente fu allievo della scuola di perfezionamento al Teatro Reale dell'Opera di Roma, dove però il metodo di insegnamento inadatto alle sue caratteristiche vocali gli procurò problemi, che il suo precedente maestro contribuì in seguito a risolvere.
Appassionato di pittura e scultura, si diplomò anche alla Scuola d'Arte della stessa città di Pesaro. Sposò Rina Fedora Filippini, conosciuta alla scuola del Teatro dell'Opera di Roma, nel 1941.
La sua carriera ebbe inizio nel 1939 con il debutto nel ruolo di Turiddu in Cavalleria rusticana di Mascagni. Il primo successo risale al 31 dicembre 1940, nel ruolo di Pinkerton (Madama Butterfly), al Teatro Puccini di Milano. Dopo un periodo di attività irregolare a causa della guerra, la sua carriera decollò dal 1945 in poi. Il debutto internazionale avvenne nel 1946 a Londra, quello alla Scala di Milano nel 1949 in Andrea Chénier di Umberto Giordano (compositore che stimò assai l'interprete). La vera svolta della sua carriera avvenne nel 1950, con il debutto nel ruolo del protagonista nell'Otello di Verdi al Teatro Colón di Buenos Aires. Da qui in poi gli si aprirono le porte dei teatri più prestigiosi del mondo, in spettacoli passati alla storia dell'opera, collaborando con i più grandi artisti della sua epoca. Da ricordare il suo sodalizio con Renata Tebaldi, sua partner in numerose recite, particolarmente in Tosca, Otello e Andrea Chénier. Fu il primo cantante italiano nel dopoguerra ad esibirsi al Teatro Bol'šoj di Mosca, dove il fanatismo suscitato dalle sue interpretazioni di Carmen e Pagliacci indusse le autorità sovietiche a conferirgli l'Ordine di Lenin, massima onorificenza dello Stato.
Nel 1964, un grave incidente automobilistico lo costrinse ad interrompere la sua attività, che riprese comunque entro la fine di quell'anno, per proseguire poi fino agli anni Settanta.
"Lasciò" le scene nel 1975 con alcune recite di Pagliacci. Ritiratosi nella sua villa di Lancenigo, vicino a Treviso, si dedicò all'insegnamento fino alla morte, avvenuta per un infarto conseguente ad un lungo periodo di dialisi renale. Le sue spoglie mortali, avvolte nelle vesti da lui disegnate di Otello, riposano nel cimitero centrale di Pesaro. Il monumento sepolcrale è opera dello scultore Giò Pomodoro.
Voce e stile di canto [modifica] Dotato di voce scura ed estremamente potente, da tenore drammatico (con inflessioni quasi baritonali), ma con una grande padronanza anche del registro superiore, sfoggiando Si e Do di rara ricchezza e volume (molto più facili e squillanti rispetto a colleghi quali Domingo o Jon Vickers). Voce estremamente dotata per volume, colore ed estensione, ha saputo mantenersi integra sino alla morte. Il suo canto nobile è caratterizzato da un fraseggio declamatorio, da un accento nobile appunto, esaltando la potenza, lo squillo e l'impeto drammatico del canto, ma non per ultime le mezze voci, i pianissimi, gli interminabili fiati (basta ascoltare le sue incisioni live per ascoltare i suoi pianissimi e mezze voci, al contrario di ciò che affermano i suoi detrattori). Studiò a Pesaro alla "scuola" di Arturo Melocchi, dal quale uscirono anche cantanti come Limarilli, Corelli (anche se per pochissimo tempo) ad esempio. Alfredo Kraus ritiene la sua tecnica molto vicina alla tradizione italiana di Gigli e Caruso, attribuendo la sua particolare vocalità a ragioni stilistiche anziché tecniche.[1] [2]
Interpretò in 427 recite l'Otello verdiano. Di quest'opera, nella quale poté esprimere a pieno le proprie doti, ha lasciato numerose incisioni discografiche, tra cui l'edizione del 1953 che lo vede al fianco di Renata Tebaldi, sotto la direzione di Alberto Erede e quella del 1960 con Herbert Von Karajan, che lo vede, forse per la prima volta, piegare la sua voce a più sottili sfumature. Ha ha Nel ruolo del Moro di Venezia, Del Monaco è stato uno dei maggiori interpreti del XX secolo (e, almeno sino all'avvento di Domingo, un modello inevitabile per tutti gli altri interpreti). La sua voce tratteggia un Otello scuro e violento, ricco di una drammaticità impetuosa che prende letteralmente alla gola (basta ascoltare - nell'edizione di Erede - Ah dannazione! Pria confessi il delitto, per rendersene conto).
Del Monaco fu sepolto nei panni di Otello, col costume da lui stesso disegnato.
Dopo aver fatto conoscere l'Italia all'estero, dopo aver innovato il canto (si ricordi che erano spesso gli stessi autori delle opere a congratularsi dicendo "quel ruolo l'ho proprio pensato così"), dopo aver dato un tocco di nobiltà ed eleganza a questo paese, Mario Del Monaco non viene mai ricordato in qualche evento pubblico, telegiornale, documentario, concerto o altro.
Musica leggera [modifica] Mario Del Monaco si è spesso dedicato alla musica leggera: il suo successo più grande è stato, nel 1976, Un amore così grande, brano scritto da Guido Maria Ferilli ed arrangiato da Detto Mariano, ed in seguito inciso anche da moltissimi altri artisti, tra cui Claudio Villa, Luciano Pavarotti e Andrea Bocelli.