Sulla genesi delFlauto magicosono fiorite molte leggende: più che la scarsità, è l’elusività dei documenti in nostro possesso a renderle, se non legittime, almeno in parte giustificate. Che si parta da una ricostruzione delle circostanze esterne alla sua nascita, o che invece si affrontino direttamente il testo e la musica interrogandosi sulla loro sostanza e il loro significato,Il flauto magicoè un’opera pervasa di mistero, avvolta in un’aura favolosa: e accettare questa condizione, senza specularci troppo sopra, è l’unica via per entrare dentro il suo mondo. Tutti gli accadimenti scenici e musicali che si svolgono nelFlauto magicoseguono una dinamica eminentemente teatrale, sganciata però da una logica drammatica coesa, stringente e unitaria per principio. Se nelle opere ‘italiane’ Mozart aveva potuto abbattere le barriere dei generi fino al loro intreccio e alla fusione, facendo dei pezzi d’insieme il culmine dell’azione e della sintesi drammatica il mezzo per raggiungere la massima tensione musicale, nelFlauto magiconon esistevano un terreno già coltivato su cui innestarsi né una tradizione su cui intervenire. Semmai c’era un nuovo genere da fondare: quello della «Teutsche Oper», ossia opera tedesca, titolo col quale Mozart registròDie Zauberflötenel catalogo delle sue opere alla data del luglio 1791, quando ne cominciò la strumentazione. Opera tedesca non significava automaticamente fondazione di un genere bensì semplicemente scelta, oltre che di una lingua, di una forma e di uno stile. La forma era quella delSingspiel, ossia di un’azione non interamente musicale ma comprensiva di parti parlate e di canto, lo stile quello dellaZauberoper, l’opera di argomento tragico, mescolanza di tragico e di comico, di ‘meraviglioso’ e di bonariamente triviale, dove elementi fiabeschi intercalati a caratteri allegorici di più svariata natura si esprimevano in un tono ora popolare ora alto, non di commedia realistica ma di racconto fantastico, senza spazio né tempi reali.
Atto primo. In un antico Egitto immaginario. Un paesaggio montuoso, con un tempio sullo sfondo. Il principe Tamino, disarmato, è inseguito da un serpente; sfinito e quasi sopraffatto, cade svenuto (“Zu Hülfe, zu Hülfe”). Dal tempio escono tre dame velate che uccidono il serpente e, dopo aver ammirato la bellezza del volto del giovane principe, si allontanano per informare della sua presenza la loro signora, Astrifiammante, Regina della notte. Tamino, ripresi i sensi, crede di dovere la propria salvezza a un curioso personaggio comparso nel frattempo: è Papageno, un uccellatore vagabondo vestito di piume, che canta accompagnandosi con un piccolo flauto di Pan (aria “Der Vogelfänger bin ich ja”). Papageno conferma le supposizioni di Tamino, ma è subito smascherato e punito per la sua menzogna dalle tre dame, che gli chiudono la bocca con un lucchetto d’oro; poi le fanciulle mostrano al principe il ritratto di Pamina, figlia della Regina della notte: il giovane se ne innamora all’istante (aria “Dies Bildnis ist bezaubernd schön”). Con fragore di tuono appare nel cielo Astrifiammante: ella spiega a Tamino che la figlia le è stata rapita dal malvagio Sarastro e gli chiede di liberarla, promettendogliela in sposa (recitativo e aria “O zitt’re nicht... Zum Leiden bin ich auserkoren”). Le dame donano al giovane, che si è offerto di salvare Pamina, un flauto d’oro dai poteri magici; liberato Papageno dal lucchetto, consegnano anche a lui in dono un carillon fatato e gli ingiungono di accompagnare Pamino nell’impresa. Sala nel palazzo di Sarastro. Pamina, che ha tentato di fuggire per sottrarsi alle insidie del moro Monostatos, viene ricondotta indietro da costui con la forza. Sopraggiunge Papageno, e Monostatos, spaventato dal suo strano aspetto, fugge. Papageno rivela alla fanciulla di essere stato inviato dalla Regina della notte, insieme con un giovane principe che l’ama, per liberarla. I due, pieni di speranza, esprimono la loro fede nella forza dell’amore (duetto “Bei Männern, welche Liebe fühlen”). Poi si allontanano. La scena si muta in un boschetto. Guidato da tre fanciulli, Tamino giunge dinanzi a tre templi: mentre l’accesso a quelli della Ragione e della Natura gli viene impedito, la porta del tempio della Sapienza arcanamente si apre. Un sacerdote spiega a Tamino che Sarastro non è un essere malvagio e che Pamina è stata da lui sottratta all’influenza materna per superiori, giusti motivi. Rimasto solo, Tamino rivolge il suo pensiero a Pamina: dunque ella vive? Sì, ella vive, gli risponde magicamente un coro invisibile. Confortato, trae fuori il suo flauto e suona: subito sbucano fuori animali selvaggi d’ogni specie per ascoltarlo con gioia. Papageno risponde dall’interno col suo piccolo flauto: seguendo i suoni dei rispettivi strumenti Tamino e Papageno, che scorta Pamina, si cercano a vicenda senza tuttavia riuscire a incontrarsi. Il carillon magico di Papageno costringe Monostatos e alcuni servi, che stavano per catturarlo insieme con la fanciulla, a danzare e marciare come automi. Compare Sarastro con il suo seguito: la giovane gli chiede perdono per la fuga, spiegandone i motivi; Sarastro glielo concede di buon grado, ma rifiuta di lasciarla tornare presso la madre. Tamino viene trascinato da Monostatos davanti a Sarastro: il principe e Pamina si riconoscono al primo sguardo e si gettano l’uno nelle braccia dell’altra. Sarastro inopinatamente ordina che Monostatos venga punito per avere insidiato la fanciulla e fa condurre Tamino e Papageno al tempio dell’iniziazione. Il coro ineggia alla divina saggezza di Sarastro.
Atto secondo. Bosco di palme. Sarastro chiede ai sacerdoti degli iniziati di accogliere Tamino nel tempio, dove verrà sottoposto alle prove che gli consentiranno di appartenere alla schiera degli eletti e di sposare Pamina: la richiesta viene accolta e tutti invocano Iside e Osiride affinché donino alla nuova coppia spirito di saggezza (aria con coro “O Isis und Osiris”). Tamino viene condotto nell’atrio del tempio per essere sottoposto alla prima prova: mantenere il silenzio qualunque cosa accada. Con lui è anche Papageno, spaventato e alquanto recalcitrante: solo la velata promessa di ottenere finalmente una compagna riesce in parte a convicerlo. Alla saldezza d’animo di Tamino si oppone lo scetticismo di Papageno: i tentativi delle tre dame, inviate dalla Regina della notte per costringerli a parlare, sono tuttavia respinti e alla prima prova superata Monostatos si avvicina furtivamente a Pamina addormentata: vorrebbe baciarla (aria “Alles fühlt der Liebe Freuden”), ma è cacciato da Astrifiammante che, porgendo un pugnale alla figlia, le ordina di vendicarla uccidendo Sarastro (aria “Der Hölle Rache”). Monostatos, non visto, ha ascoltato tutto e minaccia di rivelare l’intrigo se Pamina non l’amerà. Sopraggiunge Sarastro: dopo aver scacciato Monostatos, si rivolge paternamente a Pamina e le spiega che solo l’amore, non la vendetta, conduce alla felicità (aria “In diesen heil’gen Hallen”). Sala nel tempio. Tamino e Papageno vengono invitati dai sacerdoti a rimanere ancora in silenzio. Papageno però inizia a conversare con una vecchia che scompare, con fragore di tuono, non appena egli le domanda quale sia il suo nome. Ricompaiono i tre fanciulli, che recano, insieme con gli strumenti di Tamino e Papageno, una tavola imbandita alla quale i due giovani potranno rifocillarsi prima di continuare la prova. Mentre Papageno è felice di mangiare e bere, Tamino, triste, suona il suo flauto. Sopraggiunge Pamina: alla sua gioia di rivedere l’amato, Tamino non può rispondere, e tace. Disperata, Pamina crede di non essere più amata e desidera la morte (aria “Ach, ich fühl’s, es ist verschwunden”). Antro delle piramidi. Sarastro esorta i due innamorati a pazientare, giacché altre prove li attendono (terzetto “Soll ich dich, Teurer, nicht mehr sehn”). Al suono del suo carillon, Papageno medita sulla sua solitudine: cosa darebbe per incontrare una ragazza a cui piacere (aria “Ein Mädchen oder Weibchen”)! Riappare la vecchia, che si rivela essere una bella e giovane Papagena, scomparendo però non appena egli cerca di abbracciarla. Un giardino. Pamina, credendosi abbandonata da Tamino, tenta di uccidersi, ma è salvata dai tre fanciulli, che la rassicurano sui sentimenti dell’amato. Paesaggio montuoso. Tamino, scortato da due armigeri, giunge davanti a un cancello al di là del quale si scorgono alte fiamme e una cascata; lo attendono ora le prove supreme del fuoco e dell’acqua. A Pamina, sopraggiunta nel frattempo, è consentito di accompagnarlo. Al suono del flauto magico, le prove vengono superate. Nel giardino, Papageno si dispera perché Papagena è scomparsa. I tre fanciulli gli suggeriscono di suonare il carillon magico: la fanciulla riappare e lo abbraccia. Felici, i due già progettano una stirpe di Papageni. Minacciosi, recando in mano nere fiaccole, Monostatos, la Regina della notte e le tre dame tentano di avvicinarsi al tempio per uccidere Sarastro e i suoi accoliti, ma vengono inghiottiti da un terremoto. Subito tutta la scena viene avvolta dalla luce del sole. Sarastro e i sacerdoti celebrano la vittoria della luce sulle tenebre («Die Strahlen der Sonne»), mentre Tamino e Pamina vengono accolti nel regno della bellezza e della saggezza.
Fonte primaria delFlauto magicoè la raccoltaJinnistan ovvero Raccolta di fiabe di fate e di spiritiedita da Christoph Martin Wieland tra il 1786 e il 1789: in particolare la fiabaLulu ovvero Il flauto magicodi August Jakob Liebeskind. Fonti secondarie del repertorio fiabesco sono inveceOberon, re degli elfidi Karl Ludwig Giesecke e ilSingspiel Hûon e Amanda(1789) di Friederike Sophie Seyler. Per la tessitura morale dei misteri iniziatici e per l’ethosilluministico del libretto, nonché per l’ambientazione orientaleggiante ed egizia, alcuni motivi provengono dal dramma eroicoThamos, re d’Egittodi Tobias Philipp von Gebler (già musicato da Mozart anni addietro) e dal romanzoSéthosdell’abate Terrasson; mentre il libroMisteri dell’Egittodel naturalista e massone Ignaz von Born suggerì probabilmente qualche tratto della figura di Sarastro. La consuetudine nata nell’Ottocento di considerare l’opera come una successione di scene costruite sulla progressione verso un unico culmine drammatico, e dunque sulla continuità dell’azione più che su coppie di contrasti, ha pesato a lungo, e pesa tuttora, sul giudizio del libretto delFlauto magico: perfino un uomo di teatro come Richard Strauss lo considerava confuso e strampalato, riscattato solo dalla musica sublime di Mozart. Molti, fin dall’inizio, ne hanno sottolineato l’incoerenza, come se l’opera avesse cambiato linea strada facendo. Questa tesi non soltanto risulta insostenibile da un punto di vista storico, ma è anche fuorviante rispetto alle premesse e ai valori drammaturgici che ne stanno alla base.
Il ribaltamento delle situazioni, che poi avrebbe raggiunto una logica drammatica più stringente nelFideliodi Beethoven e nelFranco cacciatoredi Weber, era uno degli elementi fondamentali delSingspiele in particolare dellaZauberoper; ne garantiva per così dire l’effetto di sorpresa, in modo spesso repentino e inverosimile ma proprio perciò teatralmente efficace. Gli ingredienti dell’intreccio fantastico, con inserti comici e simbolismi talvolta oscuri, tali però da colpire l’attenzione in modo diretto, trovavano la loro più attraente realizzazione negli effetti spettacolari con cui si moltiplicavano le sorprese, poco curandosi della verosimiglianza: improvvisi capovolgimenti di scena con conseguente spiegamento di macchinari, travestimenti e salvataggi spericolati, oggetti magici, interventi di animali e di mostri, di fate e di spiriti, ora malvagi ora benigni, spesso in ambigua relazione. Era questo l’armamentario dellaMaschinen-Komödie, che nella Vienna della fiabe del Settecento godeva di grande popolarità, forte di un linguaggio figurativo elementare, prossimo alla tipologia della fiaba: la cornice cui appartiene ancheIl flauto magicoed entro cui sarebbe nata la nuova ‘opera tedesca’. A spingere verso l’alto e a dare sostanza più profonda a queste trasformazioni, che per risultare efficaci e avvincenti dal lato teatrale dovevano essere improvvise e inattese, provvede la tematica ‘morale’ che si innesta sul canovaccio della fiaba: il rogo illuminato di Sarastro e dei suoi sacerdoti coincide con un cammino di iniziazione. Non c’è dubbio che Mozart e Schikaneder abbiano riversato qui le loro idee massoniche di fratellanza e di solidarietà, facendo però dell’iniziazione un percorso teatralmente articolato. Se già il tono solenne della presentazione di Sarastro si identifica, anche nell’ascoltatore più ignaro dei riti massonici, con l’affermazione di valori superiori, quasi sacri, il bene non è ancora un valore acquisito: sarà il risultato di una conquista. Gli elementi di questa conquista portano in primo piano alcune convinzioni di Mozart, collegate alle ragioni più sostanziali e rituali della sua adesione agli ideali della massoneria; l’idea che accanto alla sfera terrena dei sensi, rappresentata nell’opera da Papageno, esista una sfera spirituale, di più completa bellezza: ed è lì che si realizza, nell’aspirazione alla trascendenza, la conquista dell’amore. Questo messaggio, non univoco ma piuttosto realizzato nella compresenza di più piani, non avrebbe tuttavia valore se accanto alla sfera superiore della coppia ‘nobile’ di Tamino e Pamina non continuasse a esistere anche quella inferiore, ‘plebea’, di Papageno e Papagena: umana l’una quanto l’altra. Nel contemperare e collegare questi valori l’opera ha una progressione tutt’altro che astrusa e inverosimile. Le simmetrie molto evidenti di cui l’opera è costellata, dal numero tre simbolo massonico al sette della figura piramidale retta dalla specularità di luce e tenebre, ricostruiscono un’unità formale interna all’opera, che fa della coerenza di piani il perno attorno a cui ruota il divenire delle trasformazioni.
Di solito si annette scarsa attenzione, in sede sia critica sia esecutiva, alla funzione dei dialoghi parlati nell’economia dell’opera. In teatro le parti parlate vengono abbondantemente tagliate, alterando così il rapporto con la musica. Se tutto ciò è ormai probabimente irreversibile, bisogna tuttavia tenerne conto quando si giudichi la tenuta drammatica del testo nel suo complesso. È in quegli spazi che si creano i presupposti e gli svolgimenti dell’azione, lavorando perché essi avvengano. Il clima di attesa che si produce quando la musica tace è la premessa affinché la tensione drammatica si intensifichi, sfociando poi nel canto. Punto culminante di tutto questo intreccio di motivi diversi è il finale del primo atto, che se da un lato riassume tutto ciò che fino a quel momento era stato posto in campo, dall’altro introduce verso altri significati. A mutar direzione non è solo il paesaggio esterno, ma soprattutto quello interiore, psicologico. La musica con cui i tre fanciulli, accompagnando Tamino davanti alle porte dei tre templi, richiamano alla fermezza, alla temperanza e al silenzio, ha il tono eloquente di un invito rassicurante, che prefigura il clima caldo, umano del regno luminoso di Sarastro, e nello stesso tempo contiene un’emozione arcana, un dubbio angoscioso che reca l’eco oscura della severità, della magnificenza e perfino del dolore della Regina della notte. Di colpo siamo introdotti in un’altra dimensione. L’intensificazione drammatica è ottenuta proprio abolendo l’alternanza fra parlato e canto, dando alla scena della rivelazione la forma di un recitativo accompagnato incalzante, che si fa dialogo serrato nell’incontro di Tamino con il sacerdote venuto a istruirlo sulla missione che l’attende. E che qui stia per accadere qualcosa di decisivo lo dice proprio la scelta di una forma aperta continua, intensamente drammatica, che innalza la sorpresa a effetto puramente musicale, al posto delle forme chiuse – arie, duetti e insiemi – usate in precedenza. Il fatto musicale diviene così individuazione di una dimensione formale e spirituale nuova anche sotto il profilo teatrale.
Se il finale del primo atto rappresenta la rivelazione dell’esistenza dell’amore nella coscienza individuale, le prove del fuoco e dell’acqua costituiscono l’affermazione di una legge universale, trascendente, che riguarda tutta l’umanità in tutto ciò che vi è in essa di divinamente sacro: il compimento dell’amore come bellezza e saggezza nel mondo degli uomini. È ciò che chiaramente esprime, al vertice di tutta l’opera, la scena degli armigeri. Qui Mozart utilizza un procedimento simmetrico rispetto al finale del primo atto: non un canto interiorizzato dell’eroe, che si spoglia delle sue certezze per prepararsi esitante a una nuova rivelazione, ma una verità che si rivela con la forza di un imperativo categorico, la cui certezza consentirà alla coppia eletta di superare le prove supreme. Il fatto che Mozart abbia introdotto in questa scena un corale di Bach nel duetto degli armigeri che leggono l’iscrizione misteriosa, e ne abbia poi elaborato la citazione su accompagnamento contrappuntistico nella marcia della purificazione, costituisce un superamento e allo stesso tempo un inveramento della convenzione teatrale in legge musicale assoluta: qui è la musica stessa a diventare protagonista della scena, con gesto che addita la meta del divino. Quando il fugato si arresta bruscamente, comprendiamo di essere giunti, dopo un cammino di lunga attesa, alle soglie dell’eterno. Componendo l’ouverture per ultima, due giorni prima che la partitura iniziata sei mesi avanti venisse rappresentata per la prima volta con straordinario successo, Mozart ribadì i diversi piani dell’opera e ne indicò musicalmente gli sviluppi. Il triplice accordo che risuona all’inizio annuncia solennemente il regno di Sarastro, ma è anche il simbolo di un’attesa e di una trasformazione che l’Adagio misteriosamente scandisce; la dinamica in cui si svolgerà l’azione è prefigurata dal fugato in cui si slancia l’Allegro, un segnale che riassume in sé l’altezza di pensiero dei motivi morali e insieme la vivace, spensierata immediatezza teatrale della favola: da ultimo, la spinta verso una rotazione completa si placa e si compie nel corale degli armigeri sulla soglia del tempio, rivelandosi musica senza tempo né spazio, governata da leggi assolute.