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 I lombardi alla prima crociata - G. Verdi

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MessaggioTitolo: I lombardi alla prima crociata - G. Verdi   I lombardi alla prima crociata - G. Verdi EmptyDom Gen 16, 2011 9:21 pm

«Dovessi morire, l’opera vincerà»: dichiarazione d’intenti più che bellicosi, tale da far pensare che la frase si riferisca a uno dei protagonisti dello scontro fra musulmani e crociati cristiani. Una sfida così accesa fu invece lanciata da Emilia Frezzolini-Poggi, prima protagonista deiLombardi alla prima crociatanella rappresentazione svoltasi alla Scala l’11 febbraio 1843. La Frezzolini vinse, e con lei naturalmente Verdi, nonché l’acuto impresario Merelli:I Lombarditrionfarono ripetendo, a distanza di meno di un anno, il successo incontrato daNabuccosulle stesse scene scaligere. Il riferimento aNabuccoè d’obbligo quanto scontato, anche nelle intenzioni dello stesso Verdi, il quale aveva capito che immettendosi con il nuovo titolo nello stesso filone risorgimental-patriottico inaugurato daNabuccopoteva ripeterne la fortuna. E così fu. Se parte della critica bolla quest’opera come musica volgare, è altrettanto vero che all’indomani della prima rappresentazione le voci di consenso furono molto maggiori di quelle dei detrattori, né molto peso dovettero dare i sostenitori deiLombardia un dato assolutamente incontrovertibile: l’assurdità di situazioni (cosa peraltro non certo rara nella storia del melodramma), gli incolmati scarti temporali, l’irrazionale distribuzione dei ruoli nel libretto di Temistocle Solera. A sua difesa va ricordato che la fonte del libretto, il poema epico di Tommaso Grossi pubblicato con successo a partire dal 1826, presenta un tale intrico di eventi che il povero Solera dovette faticare non poco a ridurlo nelle proporzioni di un libretto per musica.

Atto primo. L’azione, sviluppata in quattro atti, ciascuno dei quali diviso in tre quadri (tranne il primo che è diviso in due), ha luogo tra il 1097 e il 1099. A Milano, nella chiesa di Sant’Ambrogio, i cittadini sono riuniti per festeggiare il rito del perdono concesso da Arvino al fratello Pagano, il quale, in preda alla gelosia, aveva in passato aggredito e ferito Arvino per aver questi sposato la bella Viclinda: proscritto, e costretto per lunghi anni in esilio, ritorna per essere di nuovo accolto nella famiglia. Al pentimento non credono in cuor loro né lo stesso Arvino, né Viclinda con la figlia Giselda. Il priore annuncia che Arvino sarà condottiero dei crociati lombardi in Terrasanta. Una volta solo con Pirro, scudiero di Arvino, Pagano rivela il suo rancore per Viclinda e il suo odio per il fratello, che decide di uccidere chiedendo la complicità di Pirro e di in gruppo di bravi. Nella galleria del palazzo di Folco, che immette nelle stanze di Arvino, Viclinda e Giselda sono turbate da sinistri presagi e temono per la vita di Arvino. Fanno un voto: se Dio le proteggerà, andranno pellegrine a Gerusalemme, a pregare sul Santo Sepolcro (preghiera “Salve Maria!”). Arvino, inquieto, dice a moglie e figlia di ritirarsi nei loro appartamenti, dove le attende il padre Folco. Giunge Pirro in avanscoperta, dicendo a Pagano che Arvino si è coricato e che può agire quindi liberamente. Pagano entra nelle stanze di Arvino, e ne esce poco dopo trascinando Viclinda terrorizzata, mentre Giselda fugge. Viclinda urla e arriva inaspettato Arvino: Pagano ha infatti ucciso il padre, non il fratello. Pagano capisce il tragico errore e invoca la maledizione di Dio su di lui. Arvino sta per ucciderlo quando si frappone Giselda, implorando di non aggiungere delitto a delitto: il rimorso sarà castigo sufficiente per Pagano.

Atto secondo. Nelle stanze di Acciano, tiranno di Antiochia. Acciano dice di aver visto rifulgere in lontananza le armi dell’esercito cristiano, che ha invaso il paese seminando stragi ovunque, e invoca la vendetta di Allah. Il figlio Oronte chiede alla madre Sofia, convertita segretamente alla fede cristiana, notizie di Giselda, la pellegrina rapita nel campo crociato che Oronte ama, riamato. Sofia gli dice che ella piange e lo ama teneramente, ma lo avverte: Giselda non potrà essere sua sposa se prima non si convertirà alla fede cristiana, cosa che Oronte dice di esser pronto a fare. La scena si sposta nella caverna dove, da eremita, vive in volontario esilio Pagano: aspetta l’arrivo dell’esercito cristiano, e il grido di Pietro d’Amiens ‘Dio lo vuole!’; quando sentirà queste parole sarà pronto a combattere per la fede cristiana con tutto il suo ardore. Anche Pirro si è rifugiato in Terrasanta e si è fatto per viltà musulmano; si presenta all’eremita, che non sa essere Pagano, invocando il suo aiuto per ottenere il perdono divino: egli, custode delle mura di Antiochia, le aprirà ai Lombardi vittoriosi. Arvino, non riconoscendo il fratello, si reca dall’eremita: preghi affinché egli possa ritrovare la figlia Giselda, rapita dai musulmani; gli mostra gli eserciti di tutta Europa schierati al comando di Goffredo di Buglione, e l’eremita, infiammato di sacro ardore, promette che la città sarà riconquistata entro la notte. Nel recinto dell’harem di Antiochia le ancelle compiangono Giselda, che fra poco vedrà i suoi cari uccisi dai musulmani. Giselda, piangendo, invoca la madre: si sente colpevole di amare un infedele. Si odono urla: la città è messa a ferro e fuoco dai crociati. Sofia dice a Giselda che un traditore ha aperto le porte di Antiochia e che Acciano e il figlio Oronte sono caduti ai suoi piedi, trafitti dal condottiero dei Lombardi, Arvino; questi entra per abbracciare la figlia, che lo respinge inorridita. Giselda maledice il trionfo cristiano, ottenuto con tanto sangue, e Arvino la ripudia; sta per trafiggerla quando l’eremita gli frena la mano, dicendo che la ragazza è pazza d’amore.

Atto terzo. Nella valle di Giosafat passano in processione crociati e pellegrini; Giselda ricorda il suo amore perduto, ma improvvisamente gli compare dinanzi Oronte, in costume lombardo, che le confida di essere stato solo ferito e di essere fuggito dal suo esercito per ritrovarla: i due decidono di fuggire insieme (duetto “Teco io fuggo”). Arvino maledice la figlia, che Pagano ha visto fuggire con il suo amante (“Sì!... del Ciel che non punisce”); giura vendetta anche contro Pagano, che alcuni Lombardi dicono di aver visto nel campo crociato. Giselda conduce Oronte ferito in una grotta; sopraggiunge l’eremita, che esorta Oronte a convertirsi alla fede cristiana. Pronto al battesimo, Oronte muore chiamando accanto a sé Giselda; l’eremita lo benedice.

Atto quarto. Nella caverna dell’eremita: Pagano mostra ad Arvino la figlia assetata e colta da febbre, che gli implora il perdono. Giselda sogna, e le appare Oronte mentre annuncia ai cristiani che le acque del Siloe porranno fine alla tremenda siccità che li ha sorpresi (“Non fu sogno!... In fondo all’alma”). Nelle tende lombarde, presso il sepolcro di Rachele, i crociati assetati innalzano una preghiera al Signore, che li ha chiamati dalla terra natia con la promessa di liberare Gerusalemme dal dominio dei musulmani; fra le sabbie infuocate ricordano l’aria fresca, i ruscelli, i laghi della terra lombarda (coro “O Signore, dal tetto natio”). Giselda, Arvino e l’eremita giungono ad annunciare, tra l’esaltazione di tutti, che sono state trovate le acque del Siloe: i Lombardi esultando alzano un grido di guerra. Nella tenda di Arvino viene trasportato l’eremita ferito, sorretto da Giselda e dal padre; giunto in punto di morte, rivela ad Arvino di essere Pagano e lo implora di non maledirlo per il parricidio e di perdonarlo. Arvino lo abbraccia, mentre dalla tenda si vedono sventolare su Gerusalemme le bandiere dei crociati.

Se aiLombardimanca quella unitarietà e centralità di visione che avevano caratterizzatoNabucco, gran parte della responsabilità è da imputare al libretto di Solera che, per far quadrare il senso del ponderoso poema di Grossi, dovette ora stipare l’azione in poche pagine, ora dilatare ciò che nell’originale era risolto in poche stanze (vedi l’episodio dell’eremita).I Lombardirisultano così un’opera alquanto frammentaria nella struttura e nel contenuto musicale, quasi un concentrato di melodramma, per l’adesione assoluta e prevedibile alle convenzioni melodrammatiche e, diremmo, concentrato di ‘verdianità’ allo stato puro, permeata com’è di sigle care al Verdi prima maniera: anzitutto la pulsazione del ritmo giambico, che percorre tutto il tessuto musicale, come trama segreta, in infinite varianti, a scandire quello che potremmo definire un ritmo bellico, eroico; la sequenza breve-lunga segna sì l’epopea corale, le vendette, ma può anche stemperarsi in una configurazione più distesa, quando si tratta della rimembranza, nella pagina più celebre dell’opera, il coro “O Signore, dal tetto natio”. Questa attenzione all’elaborazione ritmica non è che uno dei tratti che ci dicono cheI Lombardinon meritanoin totol’accusa di opera tagliata con l’accetta: «miniera di future ispirazioni» secondo Baldini, «assembramento di punti culminanti» senza un’anima nell’opinione di Massimo Mila. Vero è che la presenza spesso troppo ingombrante della banda, come del tamburo militare, e certo ‘cabalettismo’ selvaggio possono far condividere un giudizio severo; ma accanto a questi momenti, peraltro funzionali sulla scena, va ricordata l’altezza di ispirazione di una pagina come la preghiera di Giselda “Salve Maria!”, orchestrata con un organico cameristico e studiatissima nell’andamento melodico. Fu questa mancanza di organicità a far sì che la critica del tempo accogliesseI Lombardisenza eccessivi entusiasmi; la voce più aspra venne dalla ‘France musicale’, che bollò pesantemente l’opera dicendo che non valeva un soldo. Peccato, o per fortuna, che a Verdi fruttò ben 8.000 lire austriache, vale a dire ‘svanziche’, secondo un suggerimento di Giuseppina Strepponi al compositore: chiedere quanto Bellini aveva preteso perNorma.

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