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 Parisina - G. Donizetti

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MessaggioTitolo: Parisina - G. Donizetti   Parisina - G. Donizetti EmptyDom Gen 16, 2011 10:11 pm

Dopo il grande successo dell’Elisir d’amore(12 maggio 1832) il rapporto tra Donizetti e l’impresario Alessandro Lanari continuò con il contratto per una nuova opera in Firenze. Il compositore giunse in riva all’Arno il 10 gennaio 1833, ma il libretto di Romani fu nella mani di Donizetti solo in febbraio.Parisinavenne comunque allestita con due sole settimane di ritardo e riuscì a totalizzare nove rappresentazioni. L’unica opera del catalogo donizettiano destinata al teatro fiorentino ebbe un vivo successo: «La mia operaParisinaè stata fortunatissima. Fui chiamato 10 volte la prima sera», scrisse Donizetti a Barbaja (23 marzo 1833), mentre il testo di Romani fu criticato per l’immoralità del contenuto, «più orribile che terribile», con «un complesso di sventura e di perversità non redenta da alcun esempio di bella virtù» (‘Gazzetta di Firenze’, 11 maggio 1833). La poesia di Byron (traduzione italiana di Andrea Maffei, 1816) attinse alla novellistica italiana degli epigoni boccacceschi Matteo Bandello e Anton Francesco Grazzini detto il Lasca.

Azzo, duca di Ferrara, ha già assassinato la prima moglie per un presunto tradimento. Egli sospetta che la giovane consorte Parisina sia innamorata di Ugo, suo amico d’infanzia e ora valoroso uomo d’armi. Tormentato dalla gelosia, Azzo entra furtivamente nella camera da letto della moglie per accertarsi della sua innocenza. Nel sonno Parisina invoca il nome di Ugo e quindi confessa al marito, cui è stata costretta sposa, il suo vero amore. La vendetta di Azzo non si arresta nemmeno quando viene a sapere dal ministro Ernesto che Ugo è suo figlio di primo letto. Il giovane viene giustiziato dal duca e Parisina muore di dolore accasciandosi sopra il cadavere di Ugo.

Come nella precedenteSancia di Castiglia(1832) anche perParisinaDonizetti riutilizzò diverse parti diUgo conte di Parigi, a partire dalla trasposizione in blocco della sinfonia iniziale, in forma abbreviata. Si tratta di brani corali che contribuiscono all’ambientazione medioevale e cavalleresca, in netto contrasto con la delicata intimità della protagonista. Fin dal suo apparire Parisina si sente destinata all’infelicità e al pianto, e trova gli unici momenti lieti nella memoria e nel ricordo innocente dell’infanzia carica di attese. Così l’opera non vive di eventi ma dei ritratti psicologici della protagionista, che prefigura in più di un momento la futura Lucia. I personaggi maschili sono funzionali a questo taglio più letterario che drammaturgico. Donizetti aveva a disposizione per la prima volta l’eccellente compagnia di canto di Lanari, con il celebre soprano Carolina Ungher, interprete all’apice della carriera già scelta da Beethoven per laNona Sinfonia, il tenore Gilbert Duprez e il baritono Domenico Cosselli, primi interpreti anche dellaLucia di Lammermoor(1835). Nei ruoli vocali loro assegnati, Donizetti lasciò ampio spazio di espressione alle capacità canore, con romanze e cabalette impegnative ma non sempre originali. Azzo esprime il suo amore per Parisina nell’ elegante sortita “Per veder su quel bel viso”. È l’unico momento elegiaco riservato al duca, poi sempre più acceso di accenti foschi e vendicativi. La marziale melodia “Dall’Eridano si stende”, tratta da “L’orifiamma ondeggi al vento” (Ugo conte di ParigiI,2), lo presenta in toni più aulici e autoritari. La sua funzione drammatica si esplicherà nei pezzi d’assieme e nei concertati, con declamati vibranti e irosi. La parte di Ugo fu la prima delle sei composte appositamente per il celebre tenore francese. Come scrisse lo stesso Duprez nei suoiSouvenirs d’un chanteur, Donizetti realizzò untrait d’uniontra «la grazia e l’eleganza del genere leggero» e «le elevate espressioni dell’opera seria». Di fronte alle tessiture spinte della Ungher e di Duprez, il pubblico della ‘prima’ si divise infatti tra fautori e detrattori dell’ ‘urlo donizettiano’, così come prima era successo per l’innovazione dell’ ‘urlo francese’. Giovanile impazienza, focosa intemperanza amorosa si manifestano fin dal duetto con Ernesto (“Io l’amai fin da quell’ora”, I,3) con effusioni spiegate ed espansive. I suoi interventi, spesso di ardua difficoltà, testimoniano l’eleganza bravuristica di Duprez (in particolare l’aria “Io sentii tremar la mano”). Il profilo meglio delineato è senz’altro quello di Parisina: preceduta da un recitativo di profonda mestizia la sua sortita (“Forse un destin che intendere”) presenta tratti belcantistici in un clima irreale di memorie, ricca di fioriture corrispondenti a immagini naturali (‘colomba’, ‘favilla’, ‘etere’). Donizetti mira a realizzare un’oasi lirica lasciando tuttavia un sottofondo di inquietudine, che riemerge a tratti nelle parole di Parisina (duetto con Ugo “Ma girne il bando ancora”). Quando i due innamorati vengono scoperti insieme dal duca, un quartetto presenta profili melodici ben distinti: Ugo e Parisina cantano una sciolta melodia, accompagnata in secondo piano da Ernesto, mentre Azzo fa da bordone con un profilo più mosso e discosto. Nel secondo atto un coro femminile contribuisce ancora a un delicato clima di ricordi, spensierato e felice. La romanza (“Sogno talor di correre”) è una cantilena mesta in cui il pizzicato degli archi contribuisce a un clima sognante, «una memorabile evocazione musicale della melanconia e dell’innocenza» (Ashbrook). Quando nel sonno svela ad Azzo il suo amore per Ugo, Parisina prorompe in un urlo liberatorio prima di una confessione (“Non pentirti ... mi ferisci”) sui ritmi concitati di una cabaletta. Le sue espressioni saranno sempre più rassegnate al dolore: la sua struggente invocazione (“Ciel sei tu che in tal momento”) è preceduta da una sezione strumentale in cui i corni sommessi ritraggono il suo tragico affanno. Nella cabaletta del finale (“Ugo è spento”) amplissime escursioni vocali spaziano dall’invettiva della maledizione per Azzo al dolore straziato e soffocato nell’intimo per la morte di Ugo. Scherzosamente Donizetti, riferendosi ai tristi canti di Parisina, chiedeva «novella scusa alle Signore del pianto fatto versare imprudentemente...innocentemente... del quale sono (orgogliosamente) delinquente» (a Innocenzo Giampieri, 14 maggio 1833). La fortuna ottocentesca dell’opera fu alterna, strettamente legata alla qualità e all’adeguatezza delle compagnie di cantanti, che potevano decretarne la caduta (alla Scala, 1834) o il successo trionfale (alla Fenice, 1838). Nel nostro secolo ha partecipato alla ‘Donizetti renaissance’ grazie alla ripresa della Settimana musicale senese (1964) e ha poi avuto una rilevante esecuzione a New York (1974) con Montserrat Caballé.
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