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 La sonnambula - V. Bellini

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MessaggioTitolo: La sonnambula - V. Bellini   La sonnambula - V. Bellini EmptyDom Gen 16, 2011 9:57 pm

La stagione di carnevale 1830-31 al Teatro Carcano di Milano si preannunciava eccezionale. Sino a quel momento, il Carcano non era che uno dei teatri secondari della capitale lombarda; ma quell’anno, l’impresa che si era assicurata l’appalto era intenzionata a fare direttamente concorrenza alla Scala: il cartellone, perciò, sfoggiava una formidabile compagnia di canto, nella quale primeggiavano il tenore Giovanni Battista Rubini e il soprano Giuditta Pasta (la grandissima attrice tragica in grado di eccellere anche nel genere buffo, capace di padroneggiare le massime difficoltà tecniche), e annunciava nientemeno che due opere nuove dei compositori più in voga, Donizetti e Bellini. Il 26 dicembre la stagione si aprì conAnna Bolenadi Donizetti; a Bellini toccava andare in scena con l’opera successiva.

Accordatosi con Romani, già dal luglio 1830 Bellini aveva iniziato a comporreErnani, basato sull’omonimo dramma di Victor Hugo, che a Parigi aveva appena suscitato enorme scalpore; ma a un certo punto librettista e compositore interruppero il lavoro: probabilmente per timore della censura, che certamente non vedeva di buon occhio un soggetto così ‘scandaloso’. Può anche darsi che Bellini, o la stessa Pasta, non volessero ripetersi andando in scena con un dramma dello stesso genere diAnna Bolena, dando la preferenza a un soggetto decisamente diverso, che offrisse un buon contrasto col melodramma donizettiano a fosche tinte. In breve fu rinvenuto un nuovo soggetto, al quale Bellini si applicò a partire dai primissimi giorni del 1831; il lavoro procedette spedito, tanto che in meno di due mesi l’opera venne ultimata. La partitura diErnaninon andò interamente perduta: nella nuova opera, Bellini ne riutilizzò in parte la musica. Il nuovo soggetto individuato proveniva da un ballo pantomimo di Scribe e Aumer dal titoloLa somnambule, ou L’arrivée d’un nouveau seigneur, rappresentato all’Opéra di Parigi tre anni prima (all’epoca, lo scambio di soggetti tra opera e ballo era cosa comune). Il tema era stato sfruttato anche in unacomédie-vaudevilledello stesso Scribe e di Delavigne, nel 1819. Già da alcuni anni il tema del sonnambulismo era al centro dell’interesse generale: la letteratura romantica se ne era appropriata, avida d’indagare ogni fenomeno riguardante il sogno e l’inconscio; Paër, Carafa e altri avevano composto melodrammi sul medesimo soggetto, e nel mondo dell’opera, in generale, erano piuttosto frequenti le scene di pazzia o di anomalia psichica. Romani e Bellini trasferirono la storia dalla Provenza alle montagne svizzere; eliminarono scene intere, come quella della schermaglia amorosa tra Alessio e Lisa, e ne ridussero altre, come la scena mordace all’osteria tra Lisa e il conte; soppressero anche l’agnizione finale (nella vicenda originaria, il conte riconosce in Amina la figlia illegittima). Rimossero, in altri termini, quei particolari comici, scabrosi o semplicemente piccanti – di gusto parigino – che nella storia originale abbondavano: tutta la vicenda assunse perciò un tono nuovo, idilliaco e innocente. Amina, Elvino e gli abitanti del villaggio appartengono a un mondo puro e incontaminato; rappresentano la semplicità, idealizzata, dello stato di natura. In tutto ciòLa sonnambularichiama modelli settecenteschi come laNinadi Paisiello: l’analogia è tanto più appariscente, in quanto entrambe le innocenti protagoniste soffrono di un disturbo psichico. Per le sue caratteristiche,La sonnambulaappartiene a un genere ibrido: è una sorta di favola pastorale o idillio, ed è al tempo stesso un’opera semiseria (ma con riserva: c’è il lieto fine, ma manca il tradizionale basso buffo).

Atto primo. In un villaggio tra le montagne svizzere. Contadini e contadine festeggiano le nozze di Amina, un’orfanella adottata da Teresa, padrona del mulino, con Elvino, un giovane possidente. Lisa, l’ostessa del villaggio, è l’unica persona triste in mezzo a tanta gioia, poiché ama Elvino e sa che sta per perderlo (“Tutto è gioia, tutto è festa”). Alessio, innamorato di Lisa, le fa la corte inutilmente. Amina esce dal mulino, accompagnata da Teresa, ringrazia gli abitanti del villaggio e manifesta la sua gioia (“Come per me sereno”). Giungono il notaio ed Elvino, che si è recato a implorare la benedizione sulla tomba della madre; offre l’anello nuziale ad Amina (“Prendi: l’anel ti dono”), che non sa trovar parole per esprimere tutta la sua gioia. Si ode il rumore di una carrozza: giunge il conte Rodolfo diretto al suo castello, e accetta l’invito di Lisa a pernottare nel suo albergo prima di riprendere il viaggio. Riconosce i particolari del villaggio, che non rivede dai tempi dell’infanzia (“Vi ravviso, o luoghi ameni”). Al calar della notte Teresa ammonisce il conte che un fantasma è solito mostrarsi nel villaggio, turbando il sonno degli abitanti. Il conte è incredulo, ma tutti confermano il racconto (“A fosco cielo, a notte bruna”). Si congeda galantemente da Amina, suscitando la gelosia di Elvino (“Son geloso del zefiro errante”); subito, però, la fanciulla tranquillizza l’innamorato. In una stanza dell’albergo Lisa informa il conte Rodolfo che gli abitanti del villaggio l’hanno ormai riconosciuto e si preparano a festeggiarlo. Un rumore proveniente dall’esterno li interrompe: Lisa, che non vuol essere sorpresa in compagnia del conte, si allontana perdendo il fazzoletto. Dalla finestra entra nella stanza Amina, che cammina nel sonno: il conte comprende che è lei il fantasma di cui si parla nel villaggio. Non vuole approfittare dell’innocente fanciulla e la lascia, perciò, sola nella stanza, assopita su un sofà. Giungono intanto i contadini per rendere omaggio al conte e si accorgono che Amina si trova nella sua stanza; giunge anche Elvino, avvertito da Lisa. Amina si sveglia e resta confusa tra le accuse generali; alle sue proteste d’innocenza (“D’un pensiero e d’un accento”) crede solo Teresa, che nel frattempo ha trovato nella stanza il fazzoletto perduto da Lisa. Elvino ricusa le nozze; Amina sviene tra le braccia di Teresa.

Atto secondo. Gli abitanti del villaggio (“Qui la selva è più folta ed ombrosa”) si ripropongono di sottoporre il caso di Amina al conte Rodolfo. La fanciulla tenta invano di convincere Elvino, che compiange la propria sorte (“Tutto è sciolto”), della falsità delle accuse. Giungono i villici e recano la notizia che il conte dichiara innocente Amina; ma Elvino reagisce con dispetto, togliendo l’anello alla sposa e deplorando, al tempo stesso, di non saperla cancellare dal proprio cuore. Nella piazza del villaggio. Lisa gioisce, con disperazione di Alessio, per le sue nozze con Elvino (“De’ lieti auguri a voi son grata”), che sta per condurla in chiesa. Giunge al villaggio il conte Rodolfo e proclama l’innocenza di Amina, spiegando che è entrata nella sua stanza camminando nel sonno. Elvino non gli crede; a sedare il bisticcio giunge Teresa, pregando gli astanti di non far rumore: Amina, per le emozioni, si è appena addormentata. Alla notizia che Elvino sta per sposare Lisa, Teresa esibisce il fazzoletto perduto dall’ostessa nella stanza del conte: Elvino comprende allora che Lisa mente. Compare Amina, sonnambula; tra la costernazione generale cammina su una trave fradicia e si avvicina pericolosamente alla ruota del mulino. Parla nel sonno, immaginando d’avere riconquistato l’amore di Elvino e guardando il fiore donatole dall’amato (“Ah, non credea mirarti”). Elvino le infila di nuovo l’anello, la ridesta e, fra il tripudio di tutto il villaggio, si riconcilia con lei.

La sonnambuladivenne, nel corso dell’Ottocento, l’opera paradigmatica del genere idillico-pastorale, volto a celebrare il mito di un’umanità innocente, dai sentimenti puri e incorrotti. Ma se l’opera sfugge all’oleografia, lo deve precisamente alla musica, che si mantiene altamente espressiva senza indulgere alla raffigurazione di maniera e senza cadere nel sentimentalismo. Opera estremamente omogenea,La sonnambularicava la propria unità dallo stile, dal tono generale, più che da un principio drammaturgico; l’invenzione musicale si mantiene felicissima dall’inizio alla fine, senza conoscere momenti di debolezza. Lo stile belliniano – sintesi di effusione lirica e declamazione espressiva – vi appare perfettamente maturo e definito. La presenza di due cantanti come la Pasta (nel ruolo di Amina) e Rubini (in quello di Elvino) è tradita dalla tessitura originale altissima e dalla grande estensione, oltre che dalle copiose fioriture (la cabaletta “Sovra il sen la man mi posa” nella cavatina di Amina, ad esempio, rivela – con la sua inusuale lunghezza e l’abbondante coloratura – l’intento di valorizzare al massimo le doti della Pasta). La coloratura, tuttavia, non è di stampo rossiniano: è proprio qui che Bellini mostra di avere definitivamente preso le distanze dal pesarese.La sonnambulanon fa sfoggio di fioriture acrobatiche ed edonistiche; la coloratura è improntata a un carattere di morbida eleganza e leggerezza, e non disturba mai la naturalezza dell’effusione canora. L’invenzione melodica, del pari, è tutt’altro che incanalata in forme schematiche; Bellini segue lo stimolo della poesia e compone brani che si sottraggono allo schematismo fraseologico e formale consueto nell’opera italiana dell’epoca. L’aria finale di Amina, “Ah, non credea mirarti”, è caratterizzata da una melodia lunghissima e altamente espressiva, nella quale l’arcata melodica pare dilatarsi all’infinito, insofferente di cesure e di articolazioni troppo nette. Regno assoluto della vocalità,La sonnambulafornisce al canto un sostegno orchestrale leggero e discreto. La strumentazione è essenziale a un punto tale che il compositore si attirò all’epoca alcune critiche, soprattutto fuori d’Italia, dov’era in uso un’orchestrazione più nutrita; in realtà, la presunta ‘povertà’ dell’orchestra belliniana è studiata per dare il massimo risalto alla voce. Gli effetti strumentali sofisticati non mancano, ma sono accenni poco esibiti, sottili e sfumati. Anche l’armonia si avvale di allusioni delicate: quali la modulazione inattesa che all’apparire del fantasma (Amina che cammina nel sonno) produce un senso di sospensione e sgomento. Alle scene del Teatro Carcano,La sonnambulaapprodò la sera del 6 marzo 1831, suscitando l’entusiasmo generale; l’opera fu subito portata a Londra, nel luglio dello stesso anno, e a Parigi in ottobre. Predilessero il ruolo di Amina grandi interpreti vocali dell’epoca, quali Maria Malibran, Giuseppina Strepponi e, più tardi, Adelina Patti. Nel nostro secolo si sono cimentate con successo, nel medesimo ruolo, Luisa Tetrazzini, Toti dal Monte, Maria Callas e Renata Scotto.

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